domenica 20 settembre 2015

Scuola come comunità


 Sto svolgendo un progetto di tirocinio a scuola legato all'inserimento nelle nuove classe dei bambini che iniziano la Scuola dell'Infanzia e la Scuola Primaria. Quest'anno il tirocinio mi vede particolarmente sensibile: è già solitamente un'occasione di confonto con le altre maestre e con il sistema scolastico in generale, ma ora che sono mamma è interessante notare come i miei due ruoli, di insegnante e di genitore, si trovino a volte in conflitto, non sempre d'accordo, quasi sempre nel dubbio. Inevitabilmente, ogni volta che sono in una classe, ora guardo a quei bambini non solo come potenziali alunni ma anche come potenziali figli, soprattutto alla Scuola dell'Infanzia. Il mio sguardo sulle dinamiche in aula è allora piuttosto particolare rispetto a quello delle mie compagne che sono molto più giovani e inevitabilmente il transfert si mette in moto: e se quel bambino che piange disperato fosse mia figlia? E se fossi io la mamma che ha accompagnato a scuola stamattina quel bambino che inizia la prima Primaria? E se fossi io ad aspettare fuori dalla scuola che finiscano le lezioni del primo giorno, orgogliosa e felice? Questo doppio ruolo è spesso faticoso: come insegnante a volte mi trovo a sanzionare comportamenti che non sanzionerei come genitore (niente di particolare, anche solo il dover rimproverare un bambino perchè arriva a scuola in ritardo) oppure a considerare insistenti e apprensive le domande di un altro genitore, le stesse che però farei probabilmente anche io...è lo stesso dilemma del guidatore e del pedone sulle striscie pedonali: se siamo alla guida ci infastidiscono i pedoni e viceversa, ma in questo caso io sono sempre simultaneamente mamma e maestra, due identità che non sempre coincidono.


 Ad aggiungere ulteriore movimento alla mia capacità critica, seguo con grande interesse pagine FB e blog completamente diverse, di famiglie dedite all'homeschooling/unschooling e di educatori o docenti invece completamente a favore della scolarizzazione. Io leggo tutto e da tutto mi lascio interrogare, mi ritrovo ad essere d'accordo con posizioni di entrambi gli schieramenti ed è una bella ginnastica mentale interagire con entrambe le parti, situandomi nel mezzo. Ho molti dubbi, su entrambe le scelte, ma considero fecondo questo interrogarmi, e penso che dovrebbe farlo ogni insegnante, ogni genitore. Spesso non esiste una sola scelta giusta e come insegnante, è mio dovere conoscere anche chi vive esperienze diverse dalle mie, confrontarmi, mettere in discussione ciò che studio e che vivo. Ne scrivevo già lo scorso anno: un buon insegnante deve saper essere un buon homeschooler, nel senso che deve saper inventare, proporre, ispirare attività nuove e originali, stimolanti e inusuali, invece che attenersi al libro di testo e alla didattica miniesteriale. Certo è molto impegnativo uscire dal seminato, ma è l'unico modo sensato di "fare scuola", come l'unico modo di fare qualsiasi altra cosa. Penso che la scuola sia un ambito importante di socializzazione e di apprendimento, ma che non sia e non debba essere l'unico. Ho imparato e sto imparando molto dai miei (lunghi) anni come studentessa, ma altrettanto se non di più ho imparato fuori, fin da bambina. È importante allora che la scuola non riceva una delega educativa da parte dei genitori, delle famiglie: scuola sì, ma l'apprendimento migliore e principale è e deve essere nel quotidiano, a casa, in tempi non strutturati e vuoti. La scuola non può e non deve essere un riempitivo, un parcheggio: la scuola è un'occasione importante per creare cittadinanza, confontandosi con gli altri, imparando a condividere, a dialogare, a superare i propri limiti. Ma la scuola da sola non basta, si apprende cittadinanza e si apprende sapere innanzitutto nella vita vera, non in tempi e spazi chiusi, e questo è uno dei compiti principali di noi genitori: essere vettori di conoscenza, di esperienze arricchenti, sia culturali che di incontro e dialogo con il mondo.


 Condivido lo spirito di queste parole di Tom e Anna, genitori viaggiatori: 
"Penso semplicemente che la scuola sia molto più di un semplice studiare biologia, geografia e inglese (tutte queste cose sarebbe si imparerebbero facilmente viaggiando). La scuola non è solo alzarsi presto, essere puntuali e essere costretti a imparare cose non necessarie. È una grande lezione di vita sociale, di vita tra molte persone diverse, di relazioni con gli altri e con se stessi. Incontrare persone che forse non incontreresti nei luoghi dove i tuoi genitori ti portano. Incontrare persone non scelte da te. Incontrare i buoni insegnanti e i cattivi maestri. E imparare ad affrontarli. [...] Perché voglio che loro incontrino il mondo reale: tutto quello che il mondo offre. Tutti i ragazzi difficili, tutti gli insegnanti sleali."
Guardando la scuola dal di dentro, come tirocinante, a volte incontro realtà tutt'altro che auspicabili per un bambino, come molte volte incontro maestre bravissime, entusiaste e preparate. Penso che la scuola sia innazitutto questo, ed è proprio il motivo per cui sto studiando per diventare maestra, e lo faccio dopo una laurea in Scienze Politiche: fare scuola è ricreare il villaggio, in cui i figli non sono cresciuti solo dai genitori e non vivono solo con i proprio fratelli o sorelle, ma si vive insieme, accanto, imparando a tollerarsi, lasciandosi ispirare dagli altri, sviluppando un senso di giustizia, imparando quali regole seguire e quali no. Come insegnante voglio offire questo: una collaborazione nel crescere con amore e sostegno anche i figli degli altri. Come genitore desidero questo: che i miei figli imparino a vivere in un villaggio con gli altri, a vivere in comunità e per la comunità.
Rimango dell'idea che una scolarizzazione precoce sia sbagliata e che la scuola dovrebbe occupare soltanto un tempo limitato nalla vita quotidiana dei bambini, rimango dell'idea che i primi maestri siano e debbano essere i genitori e che si impari molto, moltissimo anche dalle socializzazioni informali (stando da soli, stando con i nonni, stando all'aperto, viaggiando, occupandosi di cure verso altre persone, verso piccoli animali, leggendo per conto proprio ciò che ci piace, andando a mangiare in un ristorante esotico...).
Penso che la scuola sia uno strumento utile di confronto e di crescita e per questo voglio farne parte, mettendo a disposizione il mio sapere e il mio tempo. 
 
“Nell’epoca del capitalismo avanzato, tecnologico, assimilato da ciascuno di noi persino nei suoi risvolti psicopatologici, compito dell’educazione [...]diviene non tanto quello di creare strumenti di formattazione e adattamento del singolo, quanto quello – al contrario – di formarne la resistenza identitaria, attraverso l’apertura reale all’altro, il recupero dell’educazione come attività universale di cura, lo spostamento dall’io narcisistico alla comunità” Claudia Secci su Educazione Democratica




venerdì 11 settembre 2015

Inizia adesso


" We must rise up and be the medicine needed in this world. Begin with seeing beauty." 

Mi accorgo che scrivo quasi sempre sullo stesso argomento e che lì attorno ruotano i miei pensieri. Bene, significa che in questa parte del cammino è necessario così, sono queste le riflessioni che ho bisogno di condividere. Come tutti sappiamo e vediamo, i telegiornali sono tutt'altro che allegri e le principali notizie ci lasciano disorientati, impauriti. Sembra che la violenza sia imperante attorno a noi, dilaghi e porti distruzione ovunque. Spesso la sensazione principale è di non poter fare nulla, di essere totalmente in balia degli eventi: tutto sembra muoversi attorno a noi a grande velocità e pensiamo l'unica soluzione possibile sia un intervento sui grandi sistemi, geo-politico o macro-economico, dipendente dalle decisioni dei grandi potenti. Se questo è certamente vero, perchè molto sfugge ai nostri ragionamenti e non dipende dai nostri discorsi, non accetto la visione che il singolo sia  ininfluente. Da grande idealista quale sono, credo che ognuno di noi possa sempre, sempre, fare la differenza, lì dov è, in quell'esatto momento. In fondo, la violenza che vediamo attorno a noi e che tanto deploriamo, è presente allo stesso modo in noi stessi. Ciò che vediamo fuori e condanniamo, è anche in noi. Forse non possiamo avere un'influenza diretta sul macro sistema, sulla violenza su larga scala, ma possiamo sicuramente agire su di noi, disinnescare la violenza in noi, perchè il negativo in "grande" in fondo si nutre e si alimenta del negativo "piccolo" che ognuno di noi rilascia nel mondo. Io per prima mi accorgo di come mi sia facile condannare le grandi guerre fuori ma poi fatichi a disinnescare le piccole battaglie quotidiane.

Posso e possiamo fare la differenza nel piccolo, senza stare ad aspettare che ci sia il grande cambiamento fuori di noi. Sabato scorso, facendo una passeggiata nel bosco, ho raccolto ogni cartaccia che ho trovato,  una borsata che ho poi buttato via. Mi dà molto fastidio trovare rifiuti in un bosco, raccogliere carte di caramelle, mozziconi e pezzi di plastica è stato un piccolo gesto, ma molto importante. Basta poco: fare una passeggiata con Maddi e con mia zia Carla, aprire Facebook e passare qualche minuto a scrivere commenti gentili alle fotografie postate dai miei amici. Dedicare un po'di tempo a dipingere un biglietto con gli acquerelli, da regalare ad una persona amata. Scrivere ad un'amica che sta affrontando dei giorni di faticoso distacco dal suo bimbo. Arrivare di sera e sapere di aver fatto la mia parte per il pezzettino che mi era richiesto quel giorno. Sì, ognuno di questi piccoli gesti vale, disinnesca violenza e ha un impatto sul grande disegno delle cose. Ne parlo sempre perchè voglio averlo ben in mente ogni giorno mentre sono seduta in casa, mentre cammino per via, quando mi corico e quando mi alzo. Possiamo sempre portare cambiamento ed è questo il nostro scopo qui. Ho trovato un bell'articolo che racconta lo stesso, dicendo che 
"Ci troviamo ora sulla cuspide di un mondo che cambia rapidamente, che sembra colmo di avidità, diffidenza, squilibrio e disconnessione. In questo tempo sembra che vedere la bellezza nella vita non sia una cosa facile. Eppure questo non è solo un pensiero new-age usa e getta, ma una competenza necessaria da essere coltivata oggi più che mai. Un'abilità che dobbiamo aggiungere alla nostra cassetta degli attrezzi per evolvere nella consapevolezza, nel creare legami, nel fare il bene per la terra e per gli altri. Il fatto che la belleza sia negli occhi di chi guarda è una verità assoluta. Tutto si riduce alla percezione e ancora più profondamente all'atteggiamento. La maggior parte di noi ha la saggezza interiore per sentire ciò che risuona come bello, buono e sacro in questa vita. Essa è estratta dal pozzo della nostra anima e come impronte digitali è individuale per ciascuno, richiedendo semplicemente di ritornarci. Questo è ciò che ci fa ritornare a sognare e a creare nuovi modi di essere. Dobbiamo volerne di più, di questa saggezza. Dobbiamo avere sete di bellezza e delle sue qualità che muovono e ispirano. Abbiamo bisogno di sapere che ne siamo tutti degni e degni di condividerlo insieme. Perchè trovare bellezza è adesso imperativo, è l'antidoto, il rimedio con cui allontanare il nulla, la disperazione, il tetro e i sentimenti stanchi del mondo e cambiare per il meglio."

E ancora:
"Come facciamo questo?Prestiamo attenzione. Ci fermiamo. Arriviamo fino alla radice delle cose. Facciamo amicizia con il cuore della vita lenta e ci connettiamo con ciò che è reale e integrale per il nostro benessere. Torniamo alla cura della terra, alla cura delle persone e alla giusta condivisione. Raggiungiamo l'un l'altro, coltiviamo comunità e legami. Creiamo la pratica di vedere la bellezza nella vita e rendiamo grazie per tutto quello che abbiamo.La gratitudine è sempre la pietra angolare fondamentale che ci aiuta a vedere grande bellezza nel micro e nel macro. In aggiogare la natura e l'umanità si può vedere profonda bellezza nelle più grandi e nelle più piccole azioni. Nei volti di persone provenienti da tutti i ceti sociali, tutte le età e fasi, le relazioni, gli amori, le sfide e le gioie. Nel dispiegarsi di una felce, nel cinguettio dello scricciolo, nell'andare e venire delle onde dell'oceano. Tutte queste piccole cose chiedono a noi di onorarle e rendere grazie. Tutte ci chiedono di mostrarsi e di vederle davvero. Nel coltivare una pratica di vita lenta e di gratitudine, noi vediamo la bellezza ovunque. Assistiamo all'alba più gloriosa, all'odore di uno del neonato, al tocco di un amante, tirando le radici dalla terra, raccogliendo uova calde dal nido o osservando il seme che germoglia. Quasi tutti questi minuti avvenimenti sono banali e tuttavia sacri e innegabilmente belli se li consideriamo così. Rallentando ci si rende conto che il mondo che sembra duro e crudele è anche capace di così tanta incredibile abbondanza, connessioni dinamiche, creatività e un incommensurabile potenziale di possibilità. Lo vediamo quando cambiamo prospettiva. Vedere la bellezza è essenziale, ora più che mai e si offre a noi, di volta in volta, rimanendo pazientemente in attesa che noi prendiamo nota e diventiamo attenti. Dobbiamo stabilire un'alleanza con la bellezza, per fare le scelte necessarie al mondo. Nelle parole di Emerson: "Anche se viaggiamo in tutto il mondo per trovare il bello, dobbiamo portarlo con noi o non lo troveremo".La nostra cultura deve semplicemente cambiare il modo in cui vediamo le nostre esperienze, le nostre percezioni e diamo spazio alle nostre osservazioni e alle nostre interazioni. Ogni momento è un dono. Ora è il momento di lasciare il vecchio paradigma. E' tempo per i modi obsoleti di cadere, iniziando di nuovo, andando avanti con un nuovo modo di pensare. Dobbiamo usare questa nuova abilità per vedere le nostre esperienze come opportunità di trasformare oltre misura e di metterci in contatto con le nostre comunità e la nostra terra. Abbiamo bisogno di continuare a sognare i grandi sogni necessari a creare un cambiamento reale e tangibile. Dobbiamo alzarci ed essere la medicina necessaria in questo mondo. Inizia con vedere la bellezza."

Cosa posso fare oggi, per disinnescare violenza?

mercoledì 2 settembre 2015

Cerimonia vivente

"Diventa il luogo che ti ha cresciuta. Qual è il nome del vento che ti ha cresciuta? 
Qual è il nome delle acque che ti hanno cresciuta? Qual è il nome della tua montagna?
Il nome della terra che ti ha cresciuta? Innalza quei nomi, perchè quei nomi sono sacri"
Hawane Rios

Mi piacciono i mestieri del dare: quello di mamma e gli altri che ho fatto e che faccio, di educatrice, di doula, di artista, di maestra...Tutto ciò che faccio è un dare, è quello che mi piace e a cui dò valore. Sono però una persona molto intoversa, che ama moltissimo stare da sola, stare in silenzio. Questi giorni con Maddalena sono intensti e belli, passano in un lampo, accelerati.  Da più di quattordici mesi non sono mai da sola e se questo è straordinariamente bello, comporta una grande dose di tenacia, pazienza, consapevolezza. Io che amo così tanto stare da sola, mi trovo da così tanti mesi a condividere ogni respiro, giorno e notte, con un'altra persona. Sono grata per questo tempo del dare e per ciò che sto imparando, grata alle scelte fatte negli scorsi anni che mi permettono di essere qui ora, serenamente, a dedicare questo tempo alla mia famiglia. Spesso però arrivo di sera con il serbatoio vuoto, perchè con una bambina piccola sono tante le richieste e tante le risposte necessarie. Noto quasi con piacere la mia stanchezza, perchè è quella di chi non si è risparmiato, di chi tutto ha dato, minuto dopo minuto. Ho però molto bisogno di tempi di ricarica, che non ho ancora ben imparato a organizzare e gestire. Non posso rimanere da sola, ma posso imparare a diluire meglio le forze.

Come spesso mi accade, nei giorni che precedono un esame all'università mi sento sopraffatta da tutto ciò che vorrei fare e che dveo rimandare a causa dello studio. L'estate sta finendo e mi accorgo con affanno che non ho fatto o terminato molte delle cose che avrei voluto. Mi sembra che ci sia tutto da fare, allora corro e corro ma non concludo poi nulla.Io, che vorrei avere sempre il tempo sotto controllo, devo arrendermi di fronte al suo scorrere, ricordare che ho vissuto lo stesso una stagione piena, perdonarmi tutto ciò che non sono riuscita a compiere. Ma non è mai facile, anzi, questo senso di sopraffazione di fronte al tempo che passa è forse il mio maggior cruccio, su cui mi arrovello in continuazione.
In alcune ore questa sensazione, quasi di colpa per non aver fatto abbastanza, è proprio faticosa. Allora cerco più che mai un aggancio, una visione, che mi aiuti nel mio rimuginare sul tempo e mi permetta di fare chiarezza, almeno un poco, almeno per un altro piccolo passo verso lo scioglimento di questa tensione.
Sabato sera ho trovato per caso un'intervista che mi ha dato uno spunto di riflessione. Amy racconta, tra il resto, questo suo ricordo :​ "The time I spoke of above when we were living in New Zealand and before Naia  was born, we were truly living each moment in ceremony. Agustin and I spent a year in service to the Mother making ceremony wherever we were. We would set up these giant altars and earth offerings in each new place and would just be in stillness for so much of our day.  They were like our anchors and once we sat, it was hard to do anything else.  If we made a meal, we would make the meal, then sit for an hour in silence before eating. I like the idea of life as a living ceremony." 
( Il tempo di cui ho parlato prima, quando vivevamo in Nuova Zelanda e prima che nascesse Naia, noi vivevamo davvero ogni momento in cerimonia. Agustin e io abbiamo trascorso un anno in servizio alla Madre creando cerimonie ovunque fossimo. Costruivamo degli altari giganteschi e offerte alla terra in ogni luogo nuovo e stavamo fermi per così molto tempo durante la nostra giornata. Erano come ancore e una volta seduti, era difficile fare qualsiasi altra cosa. Se preparavamo un pasto, lo preparavamo, poi sedevamo per un'ora in silenzio prima di mangiarlo. Mi piace l'idea della vita come di una cerimonia vivente)

Queste frasi di Amy mi hanno affascinata, ma ho subito pensato, con sarcasmo, che si trattasse di un'altra di quelle belle storie new age che amo tanto leggere ma che son così profondamente estreme da non poter essere riappilicate nella mia vita di ora. Stare suduti per un'ora prima di mangiare, in silenzio? Ora che da quando è nata Maddalena passo praticamente tutti i pasti in piedi, con lei in braccio tra un boccone e l'altro? Poi però mi è piaciuta l'idea della vita come una cerimonia vivente. Probabilmente ora non ho il tempo, l'occasione e forse nemmeno la voglia di costruire altari giganti, stare a lungo seduta in meditazione, ma posso portare un poco di questo nel mio quotidiano. Non starò seduta per un'ora immobile di fronte al mio piatto, ma posso cercare di respirare più profondamente mentre accompagno Maddalena a dormire. Posso lavare i piatti con calma, fermarmi ogni tanto cinque minuti. Posso benedire il cibo che mangio, anche con un gesto rapido e semplice. Posso, nuovamente, ricordarmi di portare lentezza nelle mie giornate, con consapevolezza. Posso cambiare Maddalena con gesti lenti, invece di pensare già a cosa devo fare dopo o a csa stavo facendo prima. Focalizzarmi non tanto sul togliere un'altra azione dalle mie infinite liste di cose da fare, ma concentrarmi su ciò che sto facendo, e farlo bene.


Domenica abbiamo fatto una bella camminata in montagna, un clima estivo ci ha accompagnato mentre le cime delle montagne già si coprivano di nubi scure che creavano straordinari giochi di luce. Ho raccolto dell'erica, fiore caro alla simbologia di fate e folletti, con proprietà puruficatrici, simbolo dei poeti e di chi ama la solitudine e la contemplazione. Abbiamo trovato un pendio all'ombra interamente ricoperto di goccioline di rugiada sull'erba e sugli arbusti, magiche, il soggetto che più in assoluto amo fotografare. Mi sono accoccolata scalza sull'erba a fotografare a lungo, il fango morbido tra le dita dei piedi, il sole in alto. Le gocce e l'erica mi hanno ricordato di ascoltare la mia voce, quella che dai mestieri del dare mi chiede poi silenzio e chiusura. Vorrei essere quella sempre al centro dell'attenzione, estroversa, dalla battuta facile.  Quella che fa ridere tttutti, che tutti conoscono. Non lo sono, è giunto ancora una volta il tempo di riconoscere ciò che sono e onorarlo, seguendo prima di tutto il mio bene, dando voce alla mia voce muta. Scegliendo cosa e come mi fa stare bene in questa lunga corsa quotidiana.